Attentati Parigi, l'ISIS usa iMessage e sconsiglia WhatsApp e Skype

Il manuale del perfetto terrorista ISIS dice che iMessage è da preferire a WhatsApp. Per quest'ultima non crittografa le conversazioni.
Attentati Parigi, l'ISIS usa iMessage e sconsiglia WhatsApp e Skype
Il manuale del perfetto terrorista ISIS dice che iMessage è da preferire a WhatsApp. Per quest'ultima non crittografa le conversazioni.

In seguito ai gravi di fatti di Parigi in cui hanno perso la vita più di 130 e ne sono rimaste ferite quasi 400, si è aperto il dibattito sulla questione dei canali di comunicazione digitale utilizzati dai terroristi. Si scopre così che iMessage è tra le app considerate sicure, mentre WhatsApp e Skype vengono sconsigliate.

[related layout=”big” permalink=”https://www.melablog.it/post/185752/attentati-parigi-un-fiocco-nero-sullapple-store-francese”]In seguito ai fatti di Parigi che hanno scosso il cuore del Vecchio Continente, Apple ha ovviamente preso una posizione netta. E l’ha fatto col consueto minimalismo.[/related]

Giorni fa si era diffusa su giornali e social network la notizia che l’attacco a Parigi fosse stato coordinato sulla chat PSN (PlayStation Network), ovvero quella che unisce i giocatori della PlayStation 4; in realtà, il giornalista che aveva lanciato la bomba ha poi ritrattato tutto, spiegando che nessuna console è stata effettivamente trovata in possesso degli attori della strage. Dunque, si è trattato di una mezza bufala, ma la questione non è del tutto campata in aria.

In queste ore, Wired ha pubblicato infatti la guida interna [qui il file PDF tradotto dall’arabo con Google Translate] utilizzata dai jihadisti per restare in contatto tra loro.

Al suo interno si legge che “notoriamente” Facebook e Instagram non proteggono a sufficienza la privacy degli utenti; Skype integra backdoor per la polizia, e il protocollo GSM, benché “crittografato per l’utente comune, dispone di un sistema di crittografia che si buca con attrezzature da 3.000$.”

Vengono consigliate quindi VPN finlandesi, servizi di sicurezza vari, TOR, e app per crittografare l’interno hard disk. Ma per l’Instant Messaging vero e proprio, meglio avvalersi di iMessage, cui “governi, aziende corporate e neppure Apple hanno accesso, né possono monitorarlo.” Questo protocollo di comunicazione, tuttavia, “è limitato ai soli prodotti Apple, e inoltre bisogna prestare attenzione alla ritrasmissione automatica degli SMS se la consegna dell’iMessage non va a buon fine.” Questo perché gli SMS, invece, possono essere intercettati.

Per quanto concerne le chiamate VoIP, bocciate Tango e Viber; consigliate invece Linphone, la svizzera Swisscom iO, Silent Circle, e ovviamente FaceTime perché “neppure Apple ha autorità su di esso” e dunque non può “registrare chiamate e passarle alla giustizia americana.”

Se ricordate, iMessage e FaceTime si attirano da tempo le antipatie dei governi, tant’è che negli USA ci sono pressioni su Cupertino per allentare le crittografia su iPhone e iPad, e in UK Cameron ha fatto della guerra alla privacy uno dei propri cavalli di battaglia elettorale.

La questione non è semplice, e le ricadute per la gente tutt’altro che trascurabili. Da una parte gli Stati premono per ottenere più controllo sulle comunicazioni degli utenti e si preparano a lanciare leggi speciali in deroga alle Costituzioni; dall’altra, le società spingono invece per proteggere la privacy di chi compra i loro prodotti. E ora che l’allarme è massimo e che l’opinione pubblica è spaventata, il rischio di una stretta sulle libertà personali è quanto mai concreto.

Qui, scrive Guido Scorza, stiamo barattando “privacy, riservatezza, intimità e tutela dell’identità dei cittadini con una semplice – ancorché preziosa ed importante – ambizione di maggiore sicurezza senza, naturalmente, alcuna certezza di successo.” E questo costituirebbe “un errore probabilmente ancora più grande” che “sottovalutare la dimensione telematica del fenomeno terroristico.” La domanda da farsi è: in nome della guerra al terrorismo, siamo disposti a rinunciare alle nostra libertà fondamentali e a tollerare il monitoraggio di massa delle condotte online? La risposta è tutt’altro che scontata.

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